Rispondo dei debiti ereditari?
La risposta a questa domanda non è sempre facile in quanto per capire se e in quale misura si è obbligati a pagare i debiti del de cuius bisogna prima ricostruire la natura giuridica delle attribuzioni rese in nostro favore.
L’articolo 588 comma secondo del codice civile dispone che l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio.
La norma in esame pone pertanto una rilevante eccezione al principio generale in forza del quale solo le disposizioni testamentarie che attribuiscono l’universalità di beni sono a titolo di eredità, relegando i lasciti aventi ad oggetto beni determinati alla figura del legato.
La figura sopra delineata viene riconosciuta in dottrina come institutio ex re certa e la sua natura giuridica è fortemente discussa a causa della rilevanza della volontà del testatore, a volte difficilmente ricostruibile a causa dell’uso di termini atecnici, di modo che sono state proposte varie ricostruzioni: secondo una teoria è necessario fare riferimento ad un criterio quantitativo di modo che sarà erede colui al quale è stata attribuita la maggior parte dei beni; secondo un’altra teoria è necessario presumere che l’attribuzione venga intesa come universale, secondo una terza teoria, infine, è preferibile ritenere che, nel dubbio, il lascio sita a titolo particolare.
L’esame dell’institutio ex re certa non può prescindere dall’analisi del rapporto tra l’articolo 588 comma 2 c.c. e l’articolo 734 c.c., rubricato divisione fatta dal testatore.
Secondo autorevole dottrina (Amadio, Rescigno, Mengoni) non vi è differenza tra le due norme, qualificando l’institutio ex re certa come un mero criterio interpretativo, di modo da ricondurre la figura in esame ad un possibile mezzo tecnico ai fini della divisione del testatore; secondo una diversa ricostruzione (Morelli) è invece necessario distinguere le due ipotesi in esame, qualificando come institutio ex re certa solo le disposizioni in cui non vi è l’indicazione espressa della quota; secondo l’opinione maggioritaria (Burdese, Azzariti, Cass. 37/1979, Cass. 6110/1981) la differenza tra la norma di cui all’articolo 734 c.c. e l’institutio ex re certa è la necessaria istituzione di erede di modo che in presenza di tale sicura volontà del testatore non sarà necessario ricorrere al criterio di cui all’articolo 588 comma secondo c.c., potendo qualificare l’attribuzione come vera e propria divisione fatta dal testatore.
Un secondo profilo di criticità della figura in esame è dato dal rapporto tra l’institutio ex re certa e i beni sopravvenuti, dovendosi individuare, in mancanza di una espressa volontà del testatore, se vi sia o meno la c.d. vis expansva.
Secondo parte della dottrina (Trabucchi) i beni sopravvenuti andranno pro quota agli eredi testamentari; altra parte della dottrina (Caramazza) ritiene invece che il lascito ex re certa sia privo di vis expansiva di modo che gli eventuali beni sopravvenuti dovranno essere attribuiti agli eredi legittimi, stante la volontà presunta del testatore di attribuire solo ed esclusivamente i beni indicati con l’institutio ex re certa; è preferibile infine l’opinione (Gangi, Bigliazzi Geri, Cass. 737/1963, Cass. 574/1977, Cass. 12158/2015) che attribuisce i beni sopravvenuti agli eredi legittimi, ivi compresi gli eventuali istituiti ex re certa.
Un terzo profilo da prendere in considerazione è quello che riguarda le sorti dell’institutio ex re certa nel caso in cui, nelle more dell’apertura della successione, il testatore alieni i beni assegnati ai sensi dell’articolo 588 comma 2 c.c.
Secondo autorevole dottrina (Bonilini, Genghini, Cian-Trabucchi, Cass. 8780/1987) vi sarà una permanenza dell’istituzione in una quota da calcolarsi ex post in base al valore del bene assegnato e poi alienato; altra parte della dottrina (Talamanca, Capozzi) ritiene invece che l’alienazione del bene precedentemente attribuito a titolo di institutio ex re certa vada qualificata come una volontà di revocare l’istituzione stessa, applicando analogicamente al caso in esame quanto dettato in tema di legati dall’articolo 686 c.c.