Contratto preliminare, si deve fare?
Il contratto preliminare è quell’accordo con il quale le parti si obbligano a concludere un futuro contratto del quale hanno già delineato gli elementi essenziali.
Consente alle parti da un lato di vincolarsi temporaneamente alla stipulazione di un contratto e dall’altro di poter valutare se stipulare o meno il definitivo sulla base di circostanze sopravvenute.
L’articolo 2645 bis disciplina la trascrizione del contratto preliminare, la quale non ha la sua tipica funzione di pubblicità dichiarativa, bensì ha solo un effetto prenotativo che permette alla trascrizione del contratto definitivo di retrodatare i suoi effetti alla data di trascrizione del preliminare.
L’ effetto prenotativo però è limitato, poichè cessa e si considera come mai prodotto se entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del definitivo o comunque entro tre anni dalla trascrizione del preliminare non si trascriva il definitivo o la domanda giudiziale di cui all’art. 2652 n2 o la sentenza costitutiva ex art 2932.
Infatti, con il preliminare nasce in capo alle parti un obbligo di facere, cioè di stipulare il contratto definitivo, coercibile: il contraente, in presenza del rifiuto della controparte, può agire ex art. 2932:la sentenza costitutiva produce i medesimi effetti del contratto definitivo, purché ciò sia possibile e non sia escluso dal titolo. Ne deriva, dunque, che la possibilità di agire in forma specifica è una caratteristica eventuale del preliminare, ma non indefettibile.
In merito al preliminare, da sempre si discute sull’ammissibilità del preliminare di donazione e del preliminare di preliminare.
Per quanto riguarda il preliminare di donazione, la sua ammissibilità è strettamente collegata con l’esatta individuazione della causa del contratto di donazione: l’orientamento che identifica la causa della donazione con l’animus donandi, inteso come spontaneità della liberalità, nega l’ammissibilità del preliminare di donazione, poiché quest’ultimo fa nascere un obbligo alla stipulazione del definitivo di donazione, eliminando in tal modo l’animus donandi medesimo.
Invece, la dottrina che individua la causa del contratto donativo nell’oggettivo e contestuale impoverimento del donante ed arricchimento del donatario, ritiene ammissibile anche il preliminare di donazione sia perchè l’animus donandi non attiene alla causa della donazione ma alla volontà del donante e quindi alla sua sfera psicologica, sia perchè in ogni fattispecie di contratto preliminare manca per definizione una piena libertà nel concludere il contratto definitivo.
Vi è, inoltre, anche un orientamento minoritario che cerca di superare i limiti della dottrina che individua la causa della donazione nell’animus donandi: secondo tale filone dottrinario il preliminare sarebbe la vera e propria donazione, caratterizzata dalla spontaneità, mentre il definitivo di donazione rappresenterebbe una mera modalità di esecuzione della donazione medesima. Tuttavia quanto detto contrasta con la dottrina maggioritaria che ritiene che la donazione possa avere ad oggetto solo obbligazioni di dare e non anche obbligazioni di facere o non facere.
Per quanto concerne, invece il preliminare di preliminare, particolarmente diffuso nella prassi della contrattazione immobiliare, quasi unanimemente si è affermata la nullità di tale negozio, non rintracciandosi alcun tipo di funzione nell’obbligo di concludere un secondo contratto anch’esso preparatorio al definitivo(c.d. Obbligo ad obbligarsi).Tuttavia una recente sentenza delle sezioni unite della corte di cassazione ha sancito che non è nullo ogni preliminare di preliminare, essendo necessaria un’indagine nel caso concreto, o meglio sulla causa concreta del contratto. Infatti, laddove il preliminare preveda l’obbligo di addivenire alla stipulazione di un secondo contratto preliminare avente contenuto diverso dal primo, sarebbero entrambi validi ed efficaci, rispondendo entrambi all’interesse delle parti di scandire in più step la loro contrattazione, interesse spesso collegato e subordinato a circostanze di fatto che a volte possono prescindere dalla volontà delle parti medesime (es liberazione di un immobile da ipoteca).
Invece, laddove il primo preliminare preveda l’obbligo si stipularne un secondo dal medesimo contenuto, non si rinviene la sussistenza di alcuna causa del contratto e dunque la corte afferma la nullità, non del primo preliminare come sosteneva la precedente dottrina e giurisprudenza, bensì del secondo preliminare.
Infine, con riferimento alla sorte dei contratti preliminari stipulati dall’imprenditore dichiarato poi fallito, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione le quali hanno posto fine ad un contrasto giurisprudenziale, sancendo che il curatore fallimentare del promittente venditore non può esercitare la facoltà di scioglimento del preliminare ex art. 72 l.f. nei confronti del promissario compratore che abbia trascritto prima della dichiarazione di fallimento una domanda ex art. 2932 c.c. successivamente accolta con sentenza trascritta.
E’ altresì frequente che il preliminare di vendita abbia ad oggetto la sola nuda proprietà.
In tal caso le parti del preliminare si obbligano a concludere in cui il venditore, a fronte del pagamento di un corrispettivo, trasferisce la nuda proprietà del bene, riservando a sé l’usufrutto.
Questa fattispecie ha interessato parecchio dottrina e giurisprudenza in quanto è discusso cosa accade allorché il promittente alienante muoia in attesa che venga stipulato il definitivo.
Per capire la delicatezza del caso, va sottolineato il fatto che il corrispettivo previsto è stato misurato in relazione alla durata dell’usufrutto da riservarsi.
Così, in un primo tempo la giurisprudenza ha negato la possibilità di addivenire alla stipula del definitivo, rilevando l’impossibilità dell’oggetto. In conseguenza di ciò, si escludeva il rimedio di cui all’art. 2932 ove costringere l’erede al trasferimento del bene.
Un secondo orientamento ha poi ritenuto che il promissario acquirente, in conseguenza della morte, ha diritto a concludere un contratto avente ad oggetto la piena, considerando irrilevante che la morte sia intervenuta prima del definitivo.
A conclusioni parzialmente diverse è giunta la recente Cassazione secondo la quale il giudice può modificare ampliare entro certi limiti l’oggetto del petitum e realizzare il trasferimento della piena proprietà, previo adeguamento del corrispettivo precedentemente pattuito, così da realizzare una maggiore equità nel rapporto.
Ad ogni modo, stante la continua oscillazione della giurisprudenza, appare evidente come sia conveniente alle parti regolare sin dall’inizio questo aspetto, sottolineando il ruolo del Notaio qualora chiamato a rogare il preliminare.