Cos’è la causa del contratto?
Tra i requisiti essenziali del contratto, l’art. 1325 c.c. indica la causa.
Da sempre la dottrina è divisa in ordine alla natura giuridica della causa del contratto.
Secondo i sostenitori della teoria soggettiva, la causa viene considerata come il motivo ultimo e determinante perseguito delle parti con l’assunzione del vincolo e dunque corrisponde ad un elemento psicologico, soggettivo.
Predomina nella dottrina italiana tradizionale la concezione secondo la quale la causa è la funzione economico-sociale che il contratto obiettivamente persegue. Il classico esempio è la causa della compravendita: lo scambio della cosa con il prezzo, indipendentemente dagli scopi personali del venditore e del compratore.
Secondo questa teoria, non potrebbe mai porsi un problema di illiceità della causa con riferimento ai contratti tipici espressamente disciplinati dalla legge e l’art. 1343 c.c. sarebbe stato previsto solo in riferimento ai contratti atipici.
Poiché contraria a queste conclusioni, la dottrina più recente, avallata dalla giurisprudenza degli ultimi anni, ha proposto la teoria della causa quale funzione economico-individuale, detta anche teoria della causa in concreto. Questa teoria, ai fini del giudizio di meritevolezza, tiene conto degli interessi reali che ogni singolo contratto è diretto a realizzare di volta in volta, prescindendo dall’utilizzo di un determinato schema contrattuale. L’ovvia conseguenza è che anche un negozio tipico può risultare nullo per illiceità della causa qualora sia illecito l’interesse concreto perseguito dalle parti.
Ai sensi dell’art. 1343 c.c. la causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Il contratto è contrario a norme imperative quando le parti perseguono con esso uno scopo vietato dall’ordinamento giuridico con norme inderogabili. Ordine pubblico e buon costume sono clausole generali, suscettibili di essere valutate ed applicate in modo elastico e variabile in relazione ai tempi e alle circostanze. L’ordine pubblico può definirsi come il complesso dei principi e dei valori che informano l’organizzazione politica della società in una certa fase storica e che devono perciò considerarsi immanenti nell’ordinamento giuridico vigente. Nella nozione di buon costume devono ritenersi incluse non solo le regole del pudore sessuale e della decenza, ma anche il complesso delle regole cui si uniforma la generalità delle persone corrette, di buona fede e di sani principi, in un determinato momento e in un dato ambiente (c.d. morale sociale).
L’art. 1344 c.c. stabilisce che è altresì illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa (c.d. contratto in fronde alla legge): la norma imperativa è formalmente osservata ma violata nella sua sostanza.
La mancanza totale originaria della causa produce la nullità del negozio ex art. 1418, secondo comma c.c. perché difettoso di un elemento essenziale.
Nei negozi tipici la causa non manca mai in senso astratto, in quanto prefigurata dal legislatore, ma può mancare in concreto quando il negozio non può esplicare la sua funzione tipica: ad esempio il vitalizio su una persona già defunta oppure l’alienazione di un diritto già appartenente all’acquirente. Nei negozi atipici la causa è astrattamente prefigurata dalle parti: essa potrebbe mancare del tutto qualora la volontà privata non sia diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela (ad esempio quando si persegue uno scopo futile o socialmente indifferente).
Nel nostro ordinamento sussistono inoltre negozi che producono effetti giuridici prescindendo dalla causa. Sono i c.d. negozi astratti (o più precisamente relativamente astratti), i quali, costituendo un’eccezione rispetto agli artt. 1325, n. 2 e 1428, secondo comma c.c., devono risultare dalla legge. Occorre precisare che in tali negozi la causa non è inesistente, ma soltanto “accantonata”, nel senso che la reazione giuridica della mancanza o dell’illiceità della causa è indiretta e ritardata: il negozio astratto produce i suoi effetti, ma gli arricchimenti che ne derivano sono ingiustificati e perciò andranno restituiti. Esempio tipico di negozio astratto è la cambiale: il debitore non può addurre al giratario che l’emissione della cambiale è stata priva di causa, ma potrà rivalersi nei confronti del primo girante con l’azione di indebito arricchimento.