Posso vendere beni non ancora miei?
La vendita di cosa altrui è presa in considerazione dalla legge sotto due aspetti.
Il primo può essere definito patologico, in quanto si regola ‘ipotesi in cui una o entrambe le parti non siano a conoscenza dell’altruità del bene rispetto al patrimonio dell’alienante.
L’art. 1479 prevede, infatti che il compratore può chiedere la risoluzione del contratto se, quando l’ha concluso, ignorava che la cosa non fosse in proprietà dell’alienante e se frattanto, questi non gliene abbia fatto acquistare la proprietà.
L’ipotesi fisiologica è invece regolata dall’art. 1478 per il quale, se al momento del contratto la cosa venduta non era di proprietà del venditore, questi è obbligato a procurarne l’acquisto al compratore, il quale diventa proprietario nel momento in cui la proprietà è acquistata dal venditore.
Dalle due norme, emerge che la risoluzione specifica può essere chiesta solo se questi effettivamente non era a conoscenza dell’altruità il ché è escluso ovviamente quando ciò emerga dal contratto o quando si abbia prova contraria; fermo restando che, seppur escluso il rimedio del 1479, il compratore potrà chiedere comunque la risoluzione ex 1453 e ss. qualora il venditore sia inadempiente.
La fattispecie de qua è ricondotta nell’alveo dei negozi ad affetti reali differiti, in considerazione dell’acquisto automatico da parte del compratore sì come sopra esposto.
Si precisa, peraltro, che il venditore può adempiere al proprio obbligo senza acquistare la proprietà e cioè attraverso la stipulazione di un contratto a favore di terzo.
E’ vendita obbligatoria ad effetti reali differiti anche quella avente ad oggetto una cosa futura, cioè una cosa che al momento della conclusione del negozio non esiste.
L’effetto reale si verifica non appena la cosa viene ad esistenza, che per quanto concerne gli immobili può essere riscontrata sulla base di normative speciali, precisandosi che la giurisprudenza ha comunque ritenuto esistente il fabbricato nonostante manchino le rifiniture o accessori non indispensabili per la sua utilizzazione.
Se la cosa non viene ad esistenza la vendita è nulla.
E’ questa la regola generale che non si applica quando le parti abbiano voluto concludere una vendit aleatoria, denominata dalla dottrina, emptio rei. Con essa, il compratore pagando un corrsipettivo probabilmente minore, non si assicura circa la venuta esistenza del bene, sopportandone il rischio.
Rilevato ciò, appare corretta la qualificazione della fattispecie al di fuori dello schema della vendita, in quanto difetta palesemente il carattere commutativo delle prestazioni.
Da ciò deriva inoltre che mentre nella vendita emptio rei speratae è ammessa la risoluzione per lesione e per eccessiva onerosità, in quella aleatoria ciò è espressamente escluso.
La vendita con riserva della proprietà è, invece, caratterizzata dal fatto che, concluso il contratto, la proprietà resta in capo all’alienante fino a che non venga interamente pagato il prezzo differito (solitamente suddiviso in rate), mentre il godimento del bene è conseguito subito dal compratore, il quale assume sin dall’inizio il rischio di perimento.
Anche questa, secondo l’opinione prevalente, è una vendita obbligatoria ad effetti reali differiti.
La disciplina di questa fattispecie è dettata in tema di vendita di mobili e, pertanto, soprattutto in passato, si è discusso sulla sua applicabilità alle vendite immobiliari. Ad oggi, può dirsi pacifico che detta normativa abbia applicabilità generale, sì da includere anche negozi aventi ad oggetto diritti diversi dalla proprietà.
Deve darsi nota dell’attenzione del legislatore nei confronti del compratore, in quanto è previsto che l’applicazione di un’eventuale clausola risolutiva espressa non possa comportare la risoluzione del contratto se l’inadempimento consista nel mancato pagamento di una rata che superi l’ottava parte del prezzo.
Nonostante la chiarezza della disposizione, è stato sostenuto che è legittimo prevedere la risoluzione per il mancato pagamento di due o più rate anche se complessivamente di valore inferiore all’ottava parte del prezzo, sottolineandosi come l’inadempimento di una pluralità di rate alteri l’equilibrio del rapporto e appare illogico dunque interpretare la norma in modo da impedire al venditore di reagire a detta alterazione.
Altra particolare ipotesi di vendita è quella cui è apposto il cd. patto di riscatto.
L’art. 1500 prevede che il compratore può riservarsi il diritto di riavere la proprietà della cosa venduta mediante restituzione del prezzo, delle spese per la vendita e per le riparazioni necessarie del bene effettuate dal compratore.
Detta vendita può venir meno se il venditore esercita il suddetto diritto entro un termine determinato che non può essere superiore a 5 anni (diversamente, se superiore si riduce a 5). La dottrina si è pertanto interrogata sulla natura giuridica del negozio. Una parte ritiene trattarsi di negozio risolutivamente condizionato; mentre, altri autori riscontrano un potere di revoca del venditore, rilevando come in tal caso, a differenza della condizione, non si ha una piena portata retroattiva, posto che il riscatto non incide sulle locazioni concluse dal compratore.
Affinché il riscatto abbia efficacia il venditore, oltre a dover dichiarare al compratore la volontà di esercitarlo nel termine stabilito, antro lo stesso arco temporale deve provvedere a tutte le restituzioni sopra elencate.