Che cos’è il mutuo dissenso?
Sempre più spesso nella vita di tutti i giorni – ove vi apprestiate a comprare casa – vi sarà capitato di sentir dire da parenti, amici o conoscenti, espressioni del tipo:
– ho ricevuto in bene in donazione e adesso come faccio a rivenderlo?
– ho letto che occorre aspettare venti anni prima di poter rivendere.
– la Banca non mi concede il mutuo richiesto se l’immobile mi è pervenuto per donazione.
Cerchiamo di fare chiarezza sulle problematiche inerenti alla rivendita di un immobile avente provenienza donativa.
Il nostro Ordinamento ha tra i suoi principi cardine la tutela dei c.d. legittimari, ossia di alcuni soggetti facenti parte del ristretto nucleo familiare e che possono individuarsi nel coniuge e nei figli – ovvero degli ascendenti – in mancanza dei figli.
La tutela dei legittimari assume rilievo – una volta venuto meno un soggetto della ristretta cerchia familiare – anche in ordine alle donazioni che lo stesso defunto ha effettuato in vita – magari a favore di uno soltanto dei figli ovvero in favore di un estraneo, di fatto ledendo i diritti dei legittimari coinvolti.
Si pensi al caso in cui il padre abbia effettuato una donazione in favore di un estraneo, perché semplicemente in cattivi rapporti con il suo unico figlio e supponiamo che la casa donata rappresenti l’unico bene immobile del suo patrimonio.
Al momento della morte, si procede alla c.d. riunione fittizia mediante la quale si determinano le quote di legittima e la quota disponibile di cui il defunto poteva liberamente disporre sia per effetto di disposizioni testamentarie, sia appunto con liberalità di carattere donativo.
Se all’esito della riunione fittizia uno dei legittimari risulti leso o addirittura totalmente pretermesso nella sua quota di legittima, lo specifico mezzo di tutela che l’Ordinamento mette a sua disposizione è costituito dall’azione di riduzione grazie alla quale questi potrà ottenere – esperendo apposita causa in giudizio – la declaratoria di inefficacia della donazione che in concreto ha leso la sua quota di legittima.
L’azione di riduzione consente quindi di accertare la sussistenza o meno di una lesione della quota di legittima, mentre è soltanto con l’azione di restituzione che il legittimario leso o pretermesso può recuperare quanto fuoriuscito dal patrimonio del defunto.
Un terzo che si appresti ad acquistare un immobile avente provenienza donativa deve quindi essere consapevole sia dei rischi cui va incontro, sia delle soluzioni tecnico-operative.
Partiamo dal testo di legge.
L’art.563 del codice civile stabilisce espressamente che: “Se i donatari contro cui sia stata pronunciata la riduzione, hanno alienato a terzi gli immobili donati e non sono trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, il legittimario, premesso l’escussione del patrimonio del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti la restituzione degli immobili”.
L’art.561 c.c. precisa poi che gli immobili restituiti in conseguenza della riduzione sono liberi da ogni peso o ipoteca di cui il donatario può averli gravati.
La logica sottesa a queste norma risponde alla necessità di tutelare il principio di intangibilità della legittima, tutelando dunque i legittimari da eventuali disposizioni lesive nei loro confronti.
Dalla lettura di queste norme è agevole comprendere come anche la Banca possa nutrire non poche perplessità a fronte di una richiesta di mutuo per l’acquisto di un immobile di provenienza donativa, in quanto un legittimario leso potrebbe recuperare il bene donato a terzi libero da pesi o ipoteche restando inefficaci anche quelle costituite contestualmente al mutuo.
Perché si realizzi la restituzione del bene donato in favore del legittimario leso, tuttavia debbono verificarsi alcune condizioni:
– deve essere stata vittoriosamente proposta l’azione di riduzione entro dieci anni dall’apertura della successione del donante;
– deve essere stata proposta azione di restituzione entro venti anni dalla trascrizione della donazione;
– il legittimario deve aver prima tentato senza successo di escutere il patrimonio del donatario.
A fronte dei rischi connessi alla vendita di un immobile di provenienza donativa, ed ove non siano ancora trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, occorre però dare atto di una soluzione tecnico-operativa molto diffusa nella prassi e che consente una sorta di “rewind” della donazione effettuata in precedenza.
In particolare, è ben possibile perfezionare un contratto di mutuo dissenso della donazione.
Il mutuo dissenso è un contratto di natura estintiva in forza del quale le parti, in considerazione di un diverso apprezzamento degli interessi contrattuali ed in virtù del principio di autonomia negoziale, convengono di eliminare dal mondo giuridico gli effetti relativi ad precedente contratto.
In forza del mutuo dissenso le parti originarie eliminano gli effetti dell’originario contratto di donazione, fatti salvi eventuali diritti dei terzi medio tempore acquisiti.
Per effetto del negozio risolutorio, dunque, non si assisterebbe ad un ritrasferimento del bene al donante, ma ad uno scioglimento del contratto da farsi nella forma dell’atto pubblico ed in presenza di due testimoni.
Finestra fiscale
Con la Risoluzione 20/E del 14 febbraio 2014 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il contratto di mutuo dissenso di una donazione deve essere assoggettato ad imposta di registro in misura fisso pari ad euro duecento, oltre alle imposte ipotecarie e catastali in misura pari ad euro duecento ciascuno, considerato l’effetto retroattivo prodotto dalla risoluzione.
Detto effetto retroattivo assume rilievo anche in ordine al periodo di cinque anni utile per la determinazione della plusvalenza da rivendita di bene immobile, in quanto il donante è ripristinato nella piena proprietà del bene a partire dall’originaria stipula della donazione.
Per analogo ragionamento, nell’ipotesi in cui un soggetto riceva un bene in donazione e chieda le agevolazioni prima casa, l’effetto risolutorio del mutuo dissenso non comporta la decadenza dalle agevolazioni fiscali c.d. prima casa, ove esso sia perfezionato prima dei cinque anni, in quanto appunto il bene donato torna nella disponibilità del donante come se la donazione non si fosse mai verificata e senza che ci sia stato alcun trasferimento.
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